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Pensieri a ruota libera…

… sullo stage a Noli

La struttura che ci ospita ricorda un antico castello ed ha finestre e terrazze che si affacciano sul mare. Anche il salone destinato alle nostre attività guarda sul golfo, ma il primo incontro di lavoro è a sera inoltrata e non lo vediamo, però il rumore delle onde, quando le voci tacciono e il nostro conduttore comincia a parlare, ci arriva in modo distinto.E’ un’arte terapeuta, una cortese signora che ci mostra alle sue spalle alcuni tavoli “imbanditi” con cartoncini, tulle, carta crespa, rametti, tubi di cartone, perline colorate, colla, forbici, cartelloni…

Cominciamo a lavorare in gruppi di 4 o 5, l’invito generico è di seguire suggestioni, sogni, immagini…

Dopo qualche minuto nascono composizioni fantasiose, prima assemblando e giustapponendo elementi stranieri tra loro, poi le opere cominciano ad assumere una coerenza maggiore: le mani si intrecciano, come i consigli, i suggerimenti, le scoperte.

Quando la conduttrice dice che il tempo è scaduto non riesco a staccarmi dal lavoro: un ultimo ritocco, un rinforzo di nastro adesivo, un’aggiustatina, una piega da stendere…

-Ora smontate tutto.-

L’invito pare assurdo, eravamo scivolati in una dimensione creativa e solidale, ci eravamo appassionati alla consegna e l’avevamo trasformata in una spontanea e personale espressione di comunicativa, estro, invenzione… era diventata una cosa seria, altro che gioco!

-Smontate tutto e costruite qualcos’altro utilizzando quel che vi resterà in mano, senza aggiungere materiali nuovi.-

L’invito suona stonato, persino crudele, ma ci mettiamo al lavoro e dopo un altro po’ di tempo la sala offre una nuova mostra di creazioni.

Nella discussione successiva scopriremo che per ogni piccolo gruppo il secondo lavoro ha rappresentato la prosecuzione, l’evoluzione (o l’involuzione) del primo.

Abbiamo sperimentato una allegoria beffarda sulla vita e non solo quella professionale: si riparte con in mano dei cocci, si deve costruire con quel che resta, imparare a riconsiderare ciò che abbiamo creduto di aver raggiunto e consolidato.

Nella gestione di una classe, di un percorso curricolare, diventa difficile scompaginare quanto faticosamente costruito per cercare stili e modalità, strumenti ed espedienti diversi.

È faticoso ammettere la necessità di smontare e ricominciare.

Ma un’altra rivelazione si affaccia e sembra accomunarci: abbiamo collaborato, ci siamo ascoltati, siamo stati attenti a non sopraffare i compagni di gruppo, siamo stati complici, pronti a cercare e accogliere la “visione” dell’altro, ad inserire nel puzzle dell’opera in costruzione anche elementi dissonanti o estranei al nostro senso estetico.

Eppure siamo abituati a Collegi rissosi o distratti, a consigli di classe noiosi o inconcludenti, a sorbirci opinioni inutili o scontate…

Abbiamo introiettato a tal punto l’ipocrisia (o la diplomazia) da averla usata anche in questa occasione?

Il fatto è che il nostro lavoro di ricerca e costruzione era libero e disinteressato, che non dovevamo difenderci dal giudizio, che eravamo lì per interesse autentico, per il desiderio di migliorare e imparare dagli altri…

Il “clima di classe” era positivo e favoriva relazione e apprendimento.

In altre parole…stavamo giocando.

Ma lo stage non è stato un susseguirsi di momenti catartici, di razionalità ce n’è stata anche troppa, ma c’è un altro elemento che mi ha fatto sorridere e sorprendere.

Abbiamo concluso individuando quale priorità la formazione dei presenti all’uso delle nuove tecnologie, ipotizzato di incontrarci in teleconferenza, di introdurre nelle scuole corsi di formazione per convincere ed aiutare gli insegnanti ad usare le nuove risorse elettroniche, abbiamo stabilito che a ciò fosse dedicato il prossimo appuntamento dell’Associazione… e fra i presenti non c’era un solo nativo digitale, non solo, ma i più entusiasti erano i colleghi e le colleghe in pensione.

Per quelli immersi nel quotidiano “pogare” della scuola, l’occasione di riflettere sulle contraddizioni del lavoro, sui presupposti e sulle strategie possibili per migliorarsi, resta la strada maestra per ossigenare i neuroni, per cambiare aria alle stanze e mantenere un ambiente vivace e ricco, in cui sia possibile imparare quasi per gioco.

Rino

“…. L’obiettivo  della serata era quello di ricavare uno spazio per noi stessi .

Il lavoro artistico ha privilegiato il linguaggio non verbale per permetterci di incontrare le nostre emozioni, la parte più autentica di noi, la fiducia nelle nostre risorse, ma anche la confusione e la rabbia che viviamo nei momenti di difficoltà personali e professionali: è stato utile per attivare la mente artistica che è la parte creativa del nostro cervello, pensa per immagini e sfumature … ci aiuta a trovare in noi risorse per affrontare i cambiamenti e le difficoltà.

La serata è stata ricchissima di spunti, sicuramente ciascuno potrà ancora trarne arricchimento ritornando col pensiero a quanto vissuto.

Vorrei  fare una piccola correzione: il primo tema su cui lavorare era più circostanziato e preciso di come viene qui riportato, infatti chiedevo di rappresentare un luogo, reale o immaginario o che  piacesse molto… è veramente difficile e doloroso dover abbandonare un luogo che ci piace, in cui si sta bene per qualcosa di sconosciuto…”

Anna – arte terapeuta