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Le idee migliori nascono dall’incontro, non dall’isolamento

Commento al convegno Progettare la didattica
Sabato 5 marzo 2022, dalle ore 14.30 alle 18.00

Il pomeriggio di studio e ricerca della Casa degli Insegnanti, dedicato alla progettualità interdisciplinare, comincia con il saluto di Claudia Testa ai numerosi partecipanti.
Tra le cose dette dalla Presidente, un riferimento alla solitudine degli insegnanti, aumentata in questi due anni allucinanti.
Scelgo di farne anche il punto di partenza di questo commento dell’ultimo evento della Casa.

La solitudine degli insegnanti è una vera malattia dal nostro punto di vista, infatti abbiamo creato questa associazione nella convinzione che l’incontro e il confronto siano medicine ed esercizi riabilitativi insostituibili per la salute della professione docente. Il nome dell’associazione rincorre ed esalta questa idea di comunanza, di intimità e vicinanza, complicità e condivisione.

Solitudine è esaurire il lavoro dell’insegnante nel tunnel che conduce dalla propria scrivania di casa alla cattedra della classe; pensare alla didattica come una catena di studiati (e speriamo fortunati) eventi per somministrare nel modo più efficace il programma di studio; scandire il ritmo del proprio insegnamento avendo quale unico riferimento lo scorrere lineare dei mesi, quadrimestre dopo quadrimestre; difendere con fatica e determinazione dalle distrazioni del mondo esterno l’esclusiva relazione tra docente e allievi…

Insomma vivere la professione docente in splendida autarchia potrebbe risultare fascinoso ed è, per molti aspetti, vantaggioso dal punto di vista del tempo da dedicare alla programmazione: quanto e quando posso.
Inoltre l’approccio autoreferenziale si accompagna a un atteggiamento che smonta critiche e discussioni, e, se proprio arrivano, si attiva un’altra abilità, quella di farsele scivolare addosso.
Tutto ciò mi fa pensare a un comodo rettilineo.

Esiste una strada più complicata, quella della plurima connessione: con i colleghi, con quello che succede nel mondo, con gli allievi singolarmente e a gruppi, con la ricerca didattica… È la strada dell’esploratore, passa per luoghi meno frequentati e mette in conto bivi, errori, ripensamenti.

Questa volta l’immagine è inoltrarsi in tortuose strade provinciali.
Il nostro eroe non abbraccia l’agenda e il libro di testo, ma alza la testa dal fitto programma della propria disciplina e si pone in ascolto.
Gli arriveranno facilmente echi dell’argomento che intende trattare provenienti da altre posizioni, da altre voci.

Ascoltare più che un’azione è un atteggiamento, una postura. In un certo senso questo eroe non smette mai di essere insegnante, cogliendo nei vari percorsi, da molte esperienze, idee e stimoli da tradurre in “espedienti” nell’insegnamento.

Nel convegno abbiamo incontrato gente così, che ci ha raccontato come un oggetto, una parola, un avvenimento, possano essere visti con occhi diversi e avvicinati con approcci differenti, creando intorno al tema un evento, lasciando un segno nella memoria degli allievi (…e insegnare vuol dire lasciare un segno).

Tutti individui votati al sacrificio che vivono la scuola come missione?

Macché! Piuttosto persone fortunate che hanno trovato all’interno del proprio lavoro elementi di interesse, motivi di sfida, passionalità, coinvolgimento, interesse e… soprattutto colleghi con la stessa luce negli occhi: quella scintilla di curiosità e divertimento che trasforma un impiego in un viaggio.

Spostiamo ora l’attenzione sullo studente cui giunge la proposta didattica del primo prototipo di insegnante. Una monade disciplinare da incasellare nello scomparto ad essa riservata, dopo la precedente e subito prima della successiva, tutte in fila come bocce da bowling. Stessa operazione con altre sfere, di altro colore perché provenienti da altri comparti disciplinari, oppure, per restare nella metafora del pallone, da diversi allenatori: quello che ti prepara allo scatto, quello che cura i passaggi, quell’altro che ti insegna la strategia… Arrivi puntuali, ordinati, lineari.

Ma se il team di allenatori lanciasse in campo un pallone multicolore e invitasse i ragazzi a giocare, ecco che l’entusiasmo salirebbe e nel corso della partita potrebbero essere apprezzati e valutati tutti i fondamentali, dal tiro al passaggio alla velocità.

Fuor di metafora, lavorare con approccio multidisciplinare richiede investimenti significativi, ma offre ai docenti che lo fanno soddisfazioni e riconoscimenti in grado di ripagare tutta la fatica, a cominciare dai risultati sul piano dell’apprendimento.

Possiamo avere davanti a noi studenti consapevoli di essere formati da una squadra di docenti coordinati, sinergici, attenti a costruire un ambiente fecondo e interconnesso, oppure allievi che devono abituarsi alle prassi di ogni docente, a considerare i saperi come distinti e disciplinari, e a constatare che la propria formazione non è un progetto, ma la somma di singole azioni decise individualmente.

Quali persone e cittadini saranno i primi e quali i secondi?

Sono stato strumentalmente manicheo per meglio mettere in luce le ragioni della programmazione condivisa e interdisciplinare, ma i due modelli non devono necessariamente essere contrapposti. Un insegnante può inserire nella sua programmazione la collaborazione con alcuni colleghi e realizzare uno o due progetti in un anno offrendo ai propri allievi un valido esempio di interconnessione e partecipazione accanto all’incedere ordinato di una didattica disciplinare.

Il vero timore è che l’atrofizzazione della socialità, che tutti abbiamo vissuto in questi due anni, si rifletta anche nella scuola aggiungendo all’isolamento dei ragazzi, il solipsismo dell’insegnamento per dare a questa generazione pandemica un’altra connotazione stonata.

Siamo una associazione modesta ma tenace e pertanto insistiamo nel pensare che l’antidoto di ogni difetto della professione docente stia proprio in noi stessi. L’esempio e le proposte fornite dai bravi relatori del convegno sono riproducibili, o comunque forieri di nuove idee e stanno lì ad affermare che cercare la collaborazione dei colleghi e progettare azioni didattiche complesse non migliora solo la qualità dell’insegnamento e il rendimento degli allievi, ma anche un po’ questo mondo.

Rino Coppola
(direttivo La Casa Degli Insegnanti)